
La radio
Se il teatro è stato il fondamento ispirativo ed umoristico, se il cinema è stato il mezzo con cui il regista ed attore si è espresso al meglio, e la televisione lo strumento che l’ha portato al successo verso il grande pubblico, la radio è stata il vero e proprio terreno d’elezione di Luciano Salce. Quello dove ha potuto scatenare a suo piacimento il gusto corrosivo per la satira di costume, talvolta spicciola, talvolta dedita ai bersagli politici ed ideologici, sempre diretta verso il cattivo gusto espresso in ogni campo nazionale. Una satira che ha accompagnato gli italiani per oltre dieci anni, con titoli più o meno epocali: il cattivissimo I malalingua dov’era inserita una rubrica cult come la Schif Parade (l’Hit parade delle canzoni più improbabili); l’omologo Kitsch e poi, per lunghi anni, il leggendario Black Out. I modi erano liberi, colloquiali, quelli della digressione come tratto distintivo di un’intelligenza acuminata e geniale. Suoi compagni di lavoro e di satira furono amici ed intellettuali, di provenienza diversa, ma tutti accomunati dalla propensione al graffio cattivo, anche fino allo sberleffo goliardico: da Sergio Corbucci a Bice Valori, da Antonello Falqui a Guido Sacerdote, da Enrico Vaime ad un giovanissimo Fabio Fazio.
Enrico Vaime
Cominciò per caso, per scherzo, per noia anche. Una mattina qualunque, durante l’esecuzione di un monologo, appunto, Salce ebbe un’esitazione nella lettura: si verificò quello che, con termine settoriale, si chiama “buco”. Coprii il vuoto con un «Virgola!». I vecchi maestri della radio sarebbero inorriditi. L’interprete di un tempo avrebbe forse tossito a quel commento improvviso quanto assurdo e irrispettoso, per poi riprendere con la tipica finta disinvoltura. Invece Luciano, che non aspettava altro, credo, chiarì in diretta mostrandomi il foglio: «Non è una virgola, vedi? È un pelo». E su questa precisazione si perse completamente di vista il senso del monologo. Si finì per parlare (c’era anche lo straordinario Vittorio Caprioli con noi quel giorno) del pelo e delle ciglia caduti sui testi scritti e su quanti danni hanno fatto alla cultura le errate interpretazioni dovute a quelle presenze fuorvianti e inopinate.
Era fatta. Da allora fu una gara alla digressione, al depistaggio, al cazzeggio comico, sempre però fatti pensando all’interlocutore a casa che avvertiva (come scoprimmo) la nostra considerazione lasciandosi coinvolgere. (Enrico Vaime, Black Out, Rai-Eri, Roma 1998)