Il prigioniero n. 120842

Il 15 febbraio è richiamato alla leva, come allievo alla Scuola Ufficiali di Forlì. Insieme a lui l’amico Vittorio Gassman che però verrà congedato poco tempo dopo, mentre l’8 settembre, il giorno dell’armistizio, Luciano è fatto prigioniero dai tedeschi e condotto prima in un campo di raccolta a Modena e quindi tradotto nello Stalag VII-A di Moosburg, in Baviera dove Lavorò come operaio in uno stabilimento tranviario per quasi un anno.

I due anni di prigionia in Germania sono terrificanti: segneranno per sempre la sua vita (anche artistica) e la sua fisionomia: i tedeschi gli estrarranno l’oro della protesi mascellare dalla bocca. Il fatto gli procurerà gravi problemi di assunzione del cibo nell’immediato, e la deformazione definitiva del profilo.
In Germania tenterà la fuga nel luglio del 1944 con un compagno di prigionia ma, arrivato in Austria, ad Innsbruck, verrà tradito da dei connazionali, ripreso e condotto prima in un campo di lavoro a Jenbach e quindi nello Stalag XVIII-C di Markt Pongau, vicino Salisburgo, dove sarà internato insieme ai prigionieri comuni russi.
Saranno settimane di stenti e tribolazioni che condurranno Salce ad un rapido deperimento fisico: sarà salvato al ritorno a Moosburg dai suoi compagni di prigionia italiani che lo nutriranno con del burro acquistato in seguito ad una colletta.
Salce verrà liberato dalla prigionia il 30 aprile 1945 e rientrerà nel Distretto Militare di Roma il 9 maggio. Nel suo diario, gli anni in Germania sono commentati con un laconico: «1943-1945: due anni difficili». I suoi racconti ai familiari furono sempre brevi; e le volte in cui ricordò l’accaduto, in televisione (ad esempio in una memorabile puntata di Studio Uno), lo correggeva sempre pudicamente con la sua ironia. Da artista qual era, riuscì ad esorcizzare il terribile biennio trascorso in Germania, con la forza dell’umorismo: i suoi film sono spesso punteggiati da apparizioni di ridicoli tedeschi che egli stesso interpretava con sovrano gusto dello sberleffo.

Proprio per questo motivo risulta doppiamente ingiustificabile l’equivoco che si è costruito per anni intorno alla fantomatica presenza di Salce nella repubblica di Salò, di una sua presunta appartenenza ai repubblichini fascisti. Una manipolazione della memoria e della storia, piegata ad esigenze politiche di parte, artatamente alimentata dallo storico missino Nino Tripodi, che nel suo libro Intellettuali sotto due bandiere (edito nel 1978), presentò Salce come un fascista fin dai tempi dell’iscrizione al GUF. Una voce messa a tacere finalmente, dopo quarant’anni, dal figlio Emanuele, dal giornalista del Corriere della Sera Antonio Carioti, e, soprattutto, dallo storico Andrea Maori che, con un documentatissimo lavoro di ricerca, pubblicato come Luciano Salce prigioniero n.o 120842, ha ridato dignità alla verità storica.

Articolo del Corriere della Sera pubblicato il 16 ottobre 2016 a cura di Antonio Carioti